L’ arte democratica di Bruno Catalano |
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Bruno Catalano, accogliente e sradicato, che teme di essere scollato dal mondo quando invece è, il mondo. Un mondo antico e futuro, nel quale cerca tracce e trova storie. Dalle sue opere emerge – quasi imprendibile, ma fortemente ambasciatrice di vita – una solitudine affollata di presenze autentiche e assenze irriducibili, di interrogativi capaci di mettere a nudo il nucleo assurdo e tenero della realtà. |
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La vita di Bruno Catalano |
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Nato in Marocco nel 1960 da genitori italiani e con loro obbligato all’esilio in Francia in giovane età, ha tramutato l’espatrio, e la conseguente inevitabile amarezza, in impronte dell’anima, non inermi, al contrario: orme di itinerari ritornanti, un continuum di movimento che cambia i suoi percorsi in paesaggi intimi. Teoria che si moltiplica, uguale e cangiante nella struttura del viaggio, alimentata dunque, con vigilata nostalgia, dalla riproduzione di sé stessa. |
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E in tale cammino, che si fa offerta e dedica verso gli emigranti tutti, si esplicita il suo linguaggio artistico. In Catalano l’esperienza della tecnica e della materia, l’emergenza del passato e l’urgenza dell’identità, si fondono e confondono in una introspezione profonda e soffertamente ribaltata all’esterno. È in questa dimensione che al vuoto territoriale corrisponde il pieno mentale. |
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Le sue sculture nascono proprio qui, nell’antitesi vuoto-pieno, interrotte in una condizione intermedia tra l’essere e il non essere. Organicità che si altera, ineluttabilmente, che si configura e poi si lacera sullo sfondo di un fato che non è ancora umanità, dentro uno scorrere che non è ancora tempo. |
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Les Voyageurs di Bruno Catalano |
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La celebre ed enigmatica serie “Les Voyageurs”, ne palesa tutta l’efficacia e l’aspra espressività. Si tratta di uomini, donne e bambini che procedono, sicuramente muti anche se potessero parlare, reggendo un bagaglio, sicuramente traboccante di ricordi, aspettative, paure. Viaggiatori anonimi e solinghi, un poco attoniti, provenienti da chissà dove e diretti verso un ignoto che ha tutte le sfumature dell’incertezza. |
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Figure vulnerabili e potenti ormai disseminate per il globo, figure incomplete, slabbrate, scavate, corrose. Il busto galleggia sopra le gambe. Due brani di fisicità in un’ipotesi di intero: è la valigia il trait d’union, l’innesto tra la porzione pensante e la porzione viandante. Valigia (o borsone, o sacca, o fagotto, comunque unica risorsa) che custodisce tutto, radici e prospettive, centri di forza. “È come se il corpo si svuotasse per fare spazio alla storia che trasporta. E quella storia è sempre più grande del corpo stesso”. |
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Persone costrette a partire, attraversare confini visibili e invisibili, sopravvivere. Ma pure svoltare: la salvezza può trovarsi solo nell’elaborazione di valori individuali; una sorta d’implicita missione. |
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Paiono solisti di un esodo perpetuo. L’opera di questo artista italo-marocchino si intreccia al cammino dei popoli e delle loro culture. E si intreccia vieppiù con l’atmosfera circostante, che s’insinua, accarezza, avvolge gli esuli; li fascia, li scandisce, li illumina. La contaminazione tra scultura e ambiente diventa armonia indissolubile, di più, può aspirare a evolversi in culla di opportunità, humus che invita alla sfida e alla speranza. Tanto che queste creature fiere e sopraffatte sembrano sussurrare, pur se timidamente: alfine la raggiungeremo, una nostra soglia da varcare. Decisiva. Ospitale. Risanante. |
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