Pois: plancton di vita per Yayoi Kusama

L’opera di Yayoi Kusama, accreditata come la più famosa e autorevole artista giapponese vivente, alligna lontano, in tenera età, allorché l’ebbrezza del disegno la impegnava per ore, un impegno frenetico, un disegnare forzatamente rapido in contrapposizione alla madre che, avendo ipotizzato per lei un diverso percorso sociale, l’ostacolava, strappando sistematicamente i suoi lavori. Ma ella esaltata, tenace, immersa nella sua dimensione di sfogo e di difesa, perseguiva la funambolica produzione, commutando la creatività in antidoto e forza. Nonché coraggio, col quale dare forma al suo paesaggio interiore carico di fragilità psichiche ed emotive: è infatti a dieci anni che guardando i fiori della tovaglia li vide animarsi, parlare e invadere tutto l’ambiente. Questa prima allucinazione, unitamente a reiterate violenze domestiche, costituirono l’inizio e l’humus su cui visioni plurime e disturbi ossessivo-compulsivi avrebbero proliferato a oltranza, rendendosi insolitamente “colpevoli” della genialità di Yayoi Kusama. Una labilità psicologica, un delirio prospero capaci dunque di contestare le convenzioni del tempo, capaci di superare i limiti comuni e uscire dal perimetro della normalità per sfociare nell’eccezionalità. Oggi, a novantacinque anni (1929 Matsumoto), questa piccola donna dallo sguardo pungente incorniciato da un caschetto rosso acceso, continua a trasfondere la sua individualissima e trascendente visione del mondo, a tratti fiabesco a tratti tremendo, in cui gli elementi si combinano e si coagulano senza perdere la loro potente identità. I'm a new paragraph block.



Yayoi Kusama e il successo globale

Kusama ha raggiunto un successo globale attraverso una carriera concitata e vasta, che abbraccia molti decenni e svariati media, stabilendo legami profondi con il pubblico, oltreché con la critica. Distintasi nell’avanguardia della sperimentazione artistica in Asia a metà del XX secolo, ha velocemente assunto un ruolo centrale nella scena artistica newyorkese già dagli anni Sessanta. Regina dei pois, ha gremito coi suoi pallini multicolor le strade e i salotti della Grande Mela e, in un momento storico in cui gli ismi in voga esigevano barriere estetico intellettuali, lei amalgamava istintivamente espressionismo astratto, concettualismo, minimalismo, art brut, performance di body painting, pop, surrealismo, palesando audacemente quella libertà comunicativa che le ha permesso di precorrere i tempi. Insomma, una camaleontica rivoluzionaria.


L’arte di Yayoi, in cui ricorrono innanzitutto pois, ma pure fiori, zucche (memorie d’infanzia, di piantagioni visitate col nonno), funghi e forme falliche in sfida al patriarcato e alle personali fobie sessuali installatele dai genitori, riflette il suo spazio mentale, un allucinato e allucinante affabular di segni in una sorta di divisionismo inesauribile sostenuto da una colorazione marcata; tasselli e coriandoli di un carnevale occulto, fuori tempo, fuori logica, nella realtà del sogno e nel sogno della realtà. 




Quell’andare per analogie, per rimedi, per reiterazioni, per contrassegni stralunati quanto precisissimi – che prendono vita dalla loro totale emancipazione rispetto l’area d’azione per diventare infiniti e dilatarsi in qualità di concetti -, si configura come dissacrazione, come coesistenza di rivincite, di proposte per mettersi daccapo e rifare l’esistenza.

Kusama ha viaggiato. Esultato febbrilmente armonizzando situazioni e ambienti. Ha respirato emozioni travolgenti raccogliendole in dimensioni di eroico delirio, lasciando così trapelare quanto il suo lavoro sia per lei metaforico e purificatorio. 


Personaggio poliedrico, ha spaziato dall’arte alla moda, (collaborando proficuamente con maison del calibro di Louis Vuitton e Lancôme), dal design alla danza, senza trascurare esperienze musicali e letterarie.  

Ha all’attivo una quantità impressionante di esibizioni e mostre in luoghi prestigiosi, tanto che sarebbe più semplice elencare le Biennali e i Musei in cui non ha esposto. È a Palazzo della Ragione di Bergamo, per esempio, che tra novembre 2023 e gennaio 2024, ha installato Fireflies on the Water, lucciole sull’acqua, una delle Infinity Mirror Room più iconiche e celebri della sua produzione (proveniente dalla collezione del Whitney Museum of American Art di New York). L’opera, profondamente legata alla geologia intima di Yayoi, materializza un’adesione quasi vaneggiante con l’esistenza. Qui, una camera cieca interamente foderata di specchi, al cui centro si individua un breve pontile sopra una pozza d’acqua, brulica di una miriade di lucette pendenti dal soffitto che emulano i piccoli coleotteri. Il risultato è disorientante poiché abbagliamenti, riverberi e illusioni ottiche sovrapposte sfaldano l’autentica percezione spazio-temporale. Peculiarità dominante anche in tutte le altre sue “stanze degli specchi”: scatole magiche e sfavillanti di led capaci di stupire, di attivare un pensiero cosmico, meditativo; capaci di instaurare con i fruitori una connessione spirituale altrimenti irraggiungibile. L’artista non illustra, sottende; non documenta, disconosce i parametri per un racconto significante.


Sono ambiti immersivi e soprattutto interattivi, al pari delle Obliteration Rooms: installazioni ipnotiche generate letteralmente dagli utenti che, in precedenza forniti di post-it a guisa di punti variopinti, vengono convogliati in ambienti domestici riprodotti, completamente bianchi dal pavimento alle pareti, dall’arredamento all’oggettistica diffusa, e una volta dentro, con gesti autonomi e giocosi, hanno facoltà di appiccicare gli adesivi ovunque lo ritengano. Migliaia di macchioline policrome che, di visitatore in visitatore, obliterano e contaminano, trasformandolo, quell’anonimo candore. In una deflagrazione cromatica talmente impetuosa e palpitante da confondere. Accumuli goliardici che sembrano ornare uno stato d’animo, sembrano nobilitare il racconto della quotidianità. 



Oggi, alla sua veneranda età, Yayoi Kusama non ha perso smalto anzi, la seducente influenza della sua attività continua a invadere il pianeta. Malgrado dal lontano 1977 sia ospite fissa presso il Seiwa Hospital di Tokio (per meglio gestire problemi alla vista e allucinazioni ricorrenti), ciò non le ha certo precluso la possibilità di lavorare, avendo lei affittato un atelier di fronte all’ospedale e frequentandolo strenuamente ogni santo giorno, compatibilmente con le trasferte internazionali. 

 

Lo stigma di questa ingegnosa creatura, ovvero il pois – involontario coordinatore di geometrie ad alta tensione spazialistica, icastiche e rampanti nello scatto iridato -, ci conferma come, al di là di orizzonti complessi, sia proprio il frammento a determinare il tutto, come se in una scheggia si potesse riconoscere, con la fantasia creatrice, il tempo della vita e dell’anima.