Ed Fairburn – Geografie dell’anima
Ed Fairburn è un giovane talento gallese – Southampton 1989 – consapevole dell’importanza di liberarsi dal semplice gesto pittorico per progettare invece un geniale atto mistificatorio (quanto mitemente conservatore), uno spazio sovversivo (quanto delicatamente estetico), una contaminazione e uno sconfinamento nell’occupazione dei luoghi dell’abitare, assimilandoli ai luoghi dell’arte. Assistiamo a un uso alternativo della pagina; un uso capace di rifondare il pensiero percettivo e dinamico, di aggregare energie acuendo l’esperienza visiva. Quasi una bipolarità di logiche differenti che compenetrandosi arrivano persino a evocarsi scambievolmente. Senza ambiguità, senza caos, al contrario, conquistando reciprocamente una nuova autenticità.
Così, attraverso il lavoro di Fairburn, cartine di natura fisica o politica, reti stradali, progetti ferroviari, piante territoriali – un completo e variegato assortimento di fredde informazioni topografiche – mutano in materia lirica, flessibile. Un tessere e accumulare tracce e indizi, di memoria in apparenza, di geometria in metamorfosi. Fino a consegnarci una proiezione umana.
Filigranata da segmenti significanti e colorazioni tenere o impertinenti la tavola stampata sembra momentaneamente, lievemente ritrarsi per lasciare affiorare la pelle, le sembianze, la vitalità di volti amici. Le vie diventano tratti, i fiumi vene e lacrime i laghi, gli incroci coordinano profili e in questa completa, originale emancipazione l’immagine si mostra, come un ectoplasma elegante e benefico, come un totem, un emblema.
Eppure, niente si annulla, nessun dettaglio della superficie originale affonda nell’oblio e nessun frammento umano diventa autonomo: tutto concorre al tutto, in una osmosi poetica, in un’analogia che si sviluppa con baldanza e perentoriamente, tanto che l’irrazionale e l’assurdo si fondono e confondono con la più naturale normalità: è l’evento creativo a dominare, sigillando un amalgama di stupore ed emotività.
Tra tessitura e mosaico, catene montuose e cicatrici, antico manipolato e inedito concorso mentale, trapelano facce, ma restano immateriali come sospiri, come vento sul mondo.
È la magia che riesce all’artista. Il suo disegnare è universale e misterioso, capillare e spazioso. Egli scrive sentimenti misurando i paesi della terra. Ricama messaggi di presenze, convertendo le mappe in tappe di umana riflessione. La matita o la penna sembrano reagire vibrando ad ogni minimo contatto e da buon alchimista del segno, tra codici e tracciati urbani e planetari, estrapola bellezza, sull’orizzonte imprevedibile e ridondante del sogno.